Schermocrazie e farsa democratica
(20.01.2009; di Antonio Perrotta)
Sarebbe arduo ed illusorio raccomandare oggigiorno ciò che Calaf intona all'inizio del terzo atto della Turandot di Puccini:
"Nessun dorma!.."
Il sonno oramai è talmente pervasivo da risultare una vera e propria intossicazione cronica da assuefazione. Ci si è talmente assuefatti alla dolce e ovattata imbecillità, franca da pensiero critiche dubbi e scetticismo, da divenire, in caso di pensieri e atteggiamenti fuor della devota sacca legislativa del buon senso comune, sospettosi poliziotti e aguzzini di noi stessi.
In altre parole siamo talmente narcotizzati da controllarci a vicenda, da essere veri e propri squadristi censori pronti ad emarginare ridicolizzare e denunciare chiunque biasimi o metta seriamente in discussione il sistema.
Il controllo tecnico-informatico delle menti ad opera di nanotecnologie è solo una sciccheria rassicurante per evitare il benché minimo rischio.
La globalizzazione mentale (quella fondamentale) è attuata da tempo. Quella geopolitica, legislativa, economica e finanziaria in atto, non è che debita cornice al bianco e nero cerebrale steso e diluito sulla tela. Di colori neanche l'ombra. Qui non si ha più a che fare con la "Santa asinità cinquecentesca".. Magari! Qui non si tratta di schietta sana e corroborante ingenuità agreste, ma di perversa e colpevole vocazione all'abbaglio.
In determinati contesti mistici e rituali, già i popoli antichi consumavano e inalavano sostanze allo scopo di alterare la coscienza ed offrire soluzioni ad un problema, propiziare gli dei, scacciare malattie e beneficiare la collettività.
Oggi si continua in questa curiosa pratica di ottundimento. Ma non sono singoli sacerdoti e sciamani che intercedono tra arcani e collettività nell’intento di guarire o esaudire le richieste di quest’ultima. E’ l’intera collettività ad ottundersi abbeverandosi al cloroformio dei media e delle democrazie, a scapito di qualche sporadico e isolato ribelle.
Il popolo vuole essere sedato guidato imboccato ingannato. E non fa che chiederlo, quotidianamente: dalle urne elettorali alle informazioni commerciali.
L’ottundimento è di massa. Dall’etere anestetico di Sir Humphrey Davi, all’etere mediatico con cui si inondano case strade piazze e cortili. Dal gas-esilarante al tele-conturbante.
Le masse sono etero-dirette.
“Il popolo non elegge chi lo cura, ma chi lo droga”, scrive Dávila.
Ma la cura, per il popolo, è proprio l’anestetico.
Ora, personalmente, è chiaro che non sono un privilegiato.
Ho le piccole gioie della conoscenza, del dubbio, della curiosità, dell’intuizione, della consapevolezza, della cultura… Ma i privilegiati sono quelli che mi circondano, coloro con i quali non si può interagire né comunicare.
Il quieto ottundimento che contraddistingue la marcia rumorosa di questi battaglioni, è un privilegio che non conosco. L’andatura degli stessi è direttamente proporzionale al dosaggio di menzogne e anestetico quotidianamente instillati.
Anche i loro lamenti sono di tipo elettivo. Essi non si lamentano per la condizione di oscuro servilismo cui gli alti patronati dell’anima, dello stato, della tradizione e dell’opinione li riducono. Non reclamano libertà dal giogo o indipendenza di pensiero. Queste cordate di impietosi valletti non inveiscono perché sono schiavi; ma perché non lo sono abbastanza.
Loro possono scegliere di non vedermi (seppure anche in questo siano guidati). Io no.
In quanto pedine, tra l’altro, sono sempre innocenti, giacché inconsapevoli attori di una scacchiera che li asserve e manovra, teatro d’un gioco dove la regola è fatale.
Ma ad essi non importa un bel nulla delle regole e del gioco, dei promotori o registi. Semplicemente ignorano di esservi sottoposti. Ciò in qualche modo li scagiona rendendoli innocenti.
Io non posso che essere colpevole.
Il semplice fatto di compilare questa nota ne è la conferma.
La farsa democratica consiste nel credere di essere artefici di una trama imbastita da altri.
Marx aveva già sottolineato la destinazione senza destino cui si soggiace. Estraniandovi dalla proprietà e peculiarità unica (quella urlata dimessamente da Stirner), avete reso merce un bene inespropriabile, reificando la vostra persona sull'altare dell'impiego e del trovarobato.
Successivamente Duchamp ha provveduto a sintetizzare mirabilmente questa destinazione nell'orinatoio museale, nell'objet trouvé.
Ma, credetemi, l'orinatoio di Duchamp varrà sempre più di qualsiasi latrina in carne ed ossa esibita dagli schermi e dal potere
Le masse intasano poltrone palchi e obiettivi per smarrirsi definitivamente, per rescindere ogni ipotetico interscambio informativo a beneficio d’un vassallaggio statistico di propensioni al consumo. Si credono protagoniste e sono consumate. L’indiscriminata partecipazione collima con la completa esautorazione, mentale prima e fisica poi.
Importante è adulare, e adulare nelle più miserrime piccinerie. Importante è servire a bella posta melensaggini e tribune rosa, disporre in primo piano beghe fornicanti d’imbecilli affinché i più si riconoscano e contraccambino (con ascolti e consensi) questa proba vicinanza ai loro drammi quotidiani.
Con la televisione la capacità di lasciarsi mediatamente sedurre e sbigottire dal proprio pettegolume è enormemente cresciuta. Nei paesi a regime democratico il fenomeno è incontenibile.
Che lo si voglia o no le democrazie non sono altro che un coacervo di dittature eterogenee sulle quali primeggia quella dell common sense, fregio indiscusso di chi si adopera - verbo et opere - a vendemmiar nebbia. Kant, che pure era al riparo dagli innumerevoli dispotismi della “civiltà dei consumi”, intuiva il falso presupposto secondo cui una larga forma di dominio (forma imperi) sia maggiormente rappresentativa. Per esserci barlume rappresentativo, continua Kant, bisogna evitare che il Legislatore sia “in una sola e medesima persona anche esecutore della sua volontà”.
Oggi la comunicazione, in una sola e medesima persona (l’ideale ma imperante Opinione pubblica rappresentata dai media) è legislatore ed esecutore della sua volontà. Il fatto che le briglia della stessa siano tese e guidate da elite al potere non attenua minimamente la responsabilità soggiogante di milioni e milioni di persone. Anzi: non fa che confermare l'orrore vocazionale di questi cadaveri in balia di specchi fumo strenne e vetrine.
L’intera massa del popolo (servum pecus) è sovrana perché in essa si trova il potere supremo (la Pubblica opinione legislativa) dal quale ogni diritto dei singoli (semplici sudditi) deve essere dedotto, ed in ottemperanza del quale ogni espressione contraria deve, se necessario, essere costretta al silenzio.
Parafrasando Mill dovrei essere nelle condizioni di pensare che se anche l’intera società meno uno avesse una stessa opinione, e soltanto io l’opinione contraria, la società non avrebbe maggior diritto di ridurre me al silenzio di quanto ne avrei io - se lo potessi - di ridurre al silenzio la società.
Ciò non è perché l’Opinione generale si eleva a rango di dogma. Il suo ontologismo è nella fede.
Che io sia allora governato dal modo di pensare di un monarca o da quello di un popolo sovrano, non fa alcuna differenza. Anzi… il monarca rischia di essere illuminato.
Come dice ancora Gómez Dávila: “I parlamenti democratici non sono anfiteatri in cui si discute, ma recinti in cui l’assolutismo popolare registra i suoi editti”.
L’incestuoso elidersi dell’individuo (putto) nella folla (mala putta) congiura la nascita di quelli che Capograssi chiamava i “regimi di massa”, cioè la tirannia del gran numero. L’individuo (ciò che ne rimane) “è tipicamente amalgamabile con gli altri”; egli si rende “continuamente disponibile per tutti gli ammassamenti, pur restando dentro questi ammassamenti, paradossalmente solo”.
A seguito di quell’elisione incestuosa “nascono le masse come protagoniste”, cioè “gli individui che si offrono perché si faccia qualcosa della loro vita”.
La televisione, particolarmente incline ad immobilizzare quanto di più demenziale e poco intelligente circola sulla scena, ama pubblicizzare l’artistico che non c’è, che non si ravvisa, che non si evince, quantunque sia estrosa la capacità di giudizio dell’utente. Ciò che si propugna è una sorta d’impietoso ottundimento critico, un volgare e meschino predamento d’interesse in nome degl’indici al consumo.
Chiunque abbia l’opportunità di sgambettare nelle bronzee casse del miraggio mediatico, rischia l’intrusione artistica: rischia cioè di essere osannato giudicato e denigrato per ciò che non è, giacché quale sia l’ambito d’imputata pertinenza è ignobile chiedere.
Largo spazio ad esperti ed opinionisti: purché opinino sull’opinione, purché rosicchino il torsolo dentellato di mele gettate ad un pubblico bulimico e vorace.
Esemplifico i popolani delle odierne Schermocrazie, i suoi servi, con un accostamento ingeneroso ma di socratica ascendenza (l’ingenerosità è per l’ascendente): essi non cessano di riportarmi alla mente l’esaustiva icasticità del caradrio, uccello che, mentre mangia, evacua.
L’ansia di essere gabbati credendosi osannati, ingigantisce le smanie presenziali (politiche sportive culturali sindacali e televisive in genere). L’opportunità di primeggiare cavalcando il basto più in vista nell’acconcia mulattiera della fama, obbliga a presumere iridata ogni squallida locanda del tratturo. “La cosa più incredibile dei miracoli - diceva Chesterton - è che accadono”. Da ciò può concludersi che le vite individuali sono meno importanti delle reputazioni pubbliche. La macchina per la gloria escogitata da Villiers, “simbolo riconosciuto dell’incapacità della folla di discernere autonomamente il valore di ciò che ascolta”, macina a pieno regime.
"L'obbligo morale dell'idiota, in quanto uomo, è di smettere di essere idiota", inferiva Unamuno.[1]
Purtroppo "l'essenza del puro idiota sta nel fatto che egli non sospetta minimamente di essere un idiota, si crede in buona fede furbo, e quanto più grande è l'idiozia che ripete tantopiù si convince di enunciare una profonda verità".
Antonio Perrotta
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[1] Nebbia Di Miguel de Unamuno, S. Tummolini, 1997 |