Gold
and Economic Freedom
Alan Greenspan (1966)
Traduzione dal sito (http://www.321gold.com/fed/greenspan/1966.html)
ad opera di Roberta Panizzoli
rif. originale: http://www.usemlab.com/html/commenti/gef_traduzione.htm
L’oro e le libertà economiche
(Questo articolo è apparso per la prima volta sulla
newsletter “The Objectivist” pubblicata nel 1966 e ristampata
in “Capitalism: The Unknown Ideal”
di Ayn Rand).
L’avversione quasi isterica nei confronti
del gold standard è un atteggiamento che unisce tutti gli
uomini di governo. Forse in modo più chiaro e sottile di
molti difensori del laissez-faire, essi sembrano percepire che
l’oro e le libertà economiche siano imprescindibili,
che il gold standard sia uno strumento di laissez-faire e che
ciascun termine implichi e richieda l’altro.
Al fine di capire l’origine di questa
avversione,
è necessario, prima di tutto, capire il ruolo specifico
dell’oro nel contesto di una società libera.
La moneta è il comune denominatore di tutte le transazioni
economiche. E’ quel bene che serve come mezzo di scambio,
che viene accettato da tutti i membri di una economia di scambio
nel pagamento di beni e servizi, che può essere usato come
standard di valore e come riserva di valore, cioè come
mezzo di accumulazione del risparmio.
L’esistenza di un bene siffatto è condizione
necessaria per la divisione del lavoro. Se l’uomo non avesse
potuto disporre di un bene dotato di valore oggettivo, generalmente
accettato come moneta, avrebbe dovuto ricorrere al baratto o sarebbe
stato costretto a vivere in fattorie autosufficienti, rinunciando
in tal modo agli inestimabili vantaggi della specializzazione. Se
l’uomo non avesse avuto modo di conservare ricchezza nel
tempo, se non avesse avuto cioè
la possibilità di risparmiare, gli scambi e i piani
economici di lungo termine non sarebbero stati possibili.
Il mezzo di scambio accettato dagli attori
economici non viene determinato arbitrariamente. Innanzitutto
esso dovrebbe essere un bene durevole. In una società primitiva
caratterizzata da un basso livello di ricchezza, il grano potrebbe
essere un bene sufficientemente durevole per diventare un mezzo
di scambio; in tale contesto tutti gli scambi avverrebbero infatti
durante il raccolto o in una fase immediatamente successiva, senza
lasciare al termine del processo alcun surplus da conservare.
In società più ricche e più civilizzate,
ovvero laddove la conservazione di valore è ritenuta importante,
il mezzo di scambio deve invece essere necessariamente un bene
durevole, di solito un metallo.
In genere si sceglie un metallo perché dotato
di caratteristiche di omogeneità e divisibilità:
le unità
sono tra di loro fungibili, possono inoltre essere fuse e suddivise
in quantità differenti. I gioielli preziosi, per esempio,
non sono né omogenei né divisibili.
Caratteristica ancora più importante è che il bene
sia un bene di lusso. Il fatto che i desideri dell’uomo
per gli oggetti di lusso siano illimitati ne garantisce una domanda
continua e una perenne accettabilità. Il grano è un
lusso nelle civiltà
denutrite ma non lo è nelle società più prospere.
Le sigarette non sono comunemente usate come moneta ma lo furono
in Europa dopo la Seconda Guerra Mondiale quando vennero considerate
un bene di lusso. Il termine “bene di lusso” implica
scarsità
e alto valore unitario. Avendo un alto valore unitario, un bene
siffatto
è facilmente trasportabile; un’oncia d’oro,
ad esempio, equivale come valore a mezza tonnellata di ghisa.
Nelle prime fasi di sviluppo di una economia
basata sulla moneta possono essere utilizzati diversi mezzi di
scambio. Tuttavia, il bene che tende ad essere accettato in misura
maggiore rimpiazzerà
gradualmente tutti gli altri. Le preferenze slitteranno infatti
verso il bene più largamente accettato e ritenuto la migliore
riserva di valore. Questo, in virtù delle preferenze ricevute,
verrà
accettato quindi con maggior favore. Lo slittamento è progressivo
fino a quando quel bene emergerà come l’unico mezzo
di scambio. L’utilizzo di un solo bene è estremamente
vantaggioso per le stesse ragioni che rendono l’economia
basata sulla moneta superiore a quella fondata sul baratto: esso
favorisce gli scambi su vastissima scala.
Che sia l’oro, l’argento, le
conchiglie, il bestiame o il tabacco ad emergere dalla selezione,
non ha nessuna importanza, esso dipende dal contesto e dallo sviluppo
di un dato paese. Non a caso tutti questi beni sono stati impiegati,
in periodi diversi, come mezzi di scambio.
Nel secolo in corso, le due commodity principali, l’oro
e l’argento, sono state usate come mezzi di scambio internazionale,
e a tal fine l’oro
è diventato poi il mezzo predominante.
Avendo l’oro sia usi artistici che funzionali ed essendo
relativamente scarso, presenta notevoli vantaggi rispetto a tutti
gli altri mezzi di scambio. Dall’inizio della Prima Guerra
Mondiale è stato l’unico standard di scambio internazionale.
Se tutti i beni e i servizi dovessero essere pagati in oro, la
gran parte dei pagamenti sarebbe difficile da effettuare, ciò tenderebbe
a limitare nella società
i vantaggi della divisione del lavoro e della specializzazione.
La logica prosecuzione alla creazione di un mezzo di scambio diventa
pertanto lo sviluppo di un sistema bancario e l’emissione
di titoli di credito (banconote e assegni) in grado di sostituire
l’oro ma convertibili nello stesso.
Un libero sistema bancario basato sull’oro è
in grado di creare banconote (moneta) e di estendere il credito
in base alle esigenze della produzione economica. I proprietari
di oro, attirati dal pagamento di interessi, lo depositano
in banca e sulla base di quel deposito hanno la possibilità di
utilizzare gli assegni come strumento di pagamento. Siccome è raro
che tutti i depositanti si presentino a ritirare l’oro
nello stesso momento, il banchiere ha bisogno di mantenere
come riserva solo una parte dei depositi totali. Ciò
gli consente di concedere prestiti in misura maggiore del totale
dei depositi (in altre parole egli finisce col detenere, più che
l’oro stesso a piena garanzia dei depositi, dei titoli di
debito a valere sulle proprie riserve). Tuttavia, il banchiere
non può permettersi di concedere prestiti in misura del
tutto arbitraria: deve farlo valutando la propria base di riserve
reali e lo stato dei propri investimenti.
Quando le banche prestano denaro per finanziare
attività
economiche redditizie, i prestiti vengono ripagati rapidamente
e le disponibilità
di nuovo credito sono generalmente fluide e continue. Ma quando
le imprese finanziate dal credito bancario sono meno redditizie
e lente nel ripagare i debiti, i banchieri finiscono col ritrovarsi
un ammontare di prestiti in essere eccessivo rispetto alle riserve
in oro. Essi cominciano pertanto a ridurre l’ammontare di
nuovi prestiti, generalmente facendo pagare tassi di interesse
più alti.
Questo tende a ridurre i finanziamenti alle nuove imprese e a
imporre indirettamente ai debitori un aumento della propria redditività
come condizione necessaria per l’ottenimento di nuovo credito
teso al finanziamento dell’espansione operativa. Perciò,
sotto il regime del gold standard, un sistema bancario si impone
come il protettore della stabilità economica e di una crescita
equilibrata. Quando l’oro è accettato come
mezzo di scambio dalla maggioranza delle Nazioni, il gold standard,
non ostacolato, libero e internazionale serve a incoraggiare una
divisione del lavoro a livello mondiale e un più vasto
commercio internazionale.
Nonostante le unità di scambio (dollaro, pound, franco,
etc.) differiscano da paese a paese, il fatto di definirle tutte
in termini di oro rende le economie dei diversi paesi riconducibili
ad un’unica economia, sempre che non ci siano restrizioni
sul commercio o sui movimenti di capitale. Il credito, i tassi
di interesse e i prezzi tendono a seguire andamenti simili in
tutti i paesi. Per esempio, se le banche di un paese concedessero
credito troppo facilmente, i tassi di interesse in quel paese
tenderebbero a scendere, inducendo i depositanti a spostare il
loro oro verso le banche di altri paesi che pagano interessi più alti. Questo
provocherebbe immediatamente una carenza delle riserve bancarie
nei paesi “dai soldi facili”, provocando un restringimento
del credito e un ritorno verso tassi di interesse più alti
e competitivi.
Un sistema bancario completamente
libero e un gold standard pienamente compatibile non sono stati
ancora raggiunti. Prima della Prima Guerra Mondiale,
il sistema bancario degli Stati Uniti (e della maggior parte
del mondo) era basato sull’oro e anche se i governi intervenivano
occasionalmente, l’attività bancaria era più libera
che controllata. Periodicamente, come risultato di una espansione
troppo rapida del credito, le banche cominciavano a elargire
prestiti fino al limite delle loro riserve in oro, i tassi
di interesse di conseguenza aumentavano rapidamente, si restringeva
il credito e l’economia entrava in una recessione brusca
ma di breve durata (infatti paragonata alle recessioni del
1920 e del 1932 i rallentamenti dell’attività economica
antecedenti la Prima Guerra Mondiali furono piuttosto moderati).
Erano le limitate riserve di oro a fermare per tempo un’espansione
economica squilibrata, prima cioè
che essa potesse provocare dei disastri finanziari analoghi a
quelli verificatosi dopo la Prima Guerra Mondiale. I periodi
di riassestamento erano pertanto brevi e le economie in grado
di ristabilire velocemente le solide basi necessarie alla nuova
fase espansiva.
La cura alle contrazioni economiche fu mal
diagnosticata così come la malattia: se la carenza di riserve
bancarie causava un rallentamento economico – argomentarono
gli economisti –
perché non trovare il sistema di fornire alle banche le
riserve sufficienti in modo da non lasciarle mai a secco? Se le
banche potessero continuare a prestare denaro senza restrizioni – fu
sostenuto –
non ci sarebbero rallentamenti economici. E così nel 1913
fu organizzato il sistema della Federal Reserve. Consisteva in
dodici banche regionali possedute da investitori privati, ma in
realtà, patrocinate, controllate e sostenute dal governo.
Pur non essendo di fatto legale, il credito concesso da queste
banche venne in pratica garantito dal potere di tassazione del
governo federale. Tecnicamente, si mantenne il gold standard;
gli individui erano ancora liberi di possedere oro ed esso continuava
a essere usato come riserva bancaria. Tuttavia adesso, il credito
accordato dalle banche costituenti il sistema della Federal Reserve
(“riserve cartacee”) poteva essere utilizzato legalmente
in aggiunta all’oro per rimborsare i titolari dei depositi.
Quando nel 1927 l’economia americana
subì
una leggera contrazione, la Federal Reserve creò maggiori
riserve cartacee nella speranza di prevenire l’eventuale
scarsità
delle riserve bancarie. Ancora più disastroso fu, tuttavia,
il tentativo della Federal Reserve di aiutare la Gran Bretagna
che stava perdendo le proprie riserve auree a favore degli USA,
in quanto la Banca d’Inghilterra si rifiutava di aumentare,
nonostante le forze di mercato lo imponessero, i tassi di interesse
(il fatto sarebbe stato politicamente sconveniente).
Il ragionamento delle autorità si
riassume come segue: se la Federal Reserve avesse pompato eccessive
quantità
di riserve cartacee nelle banche americane, i tassi di interesse
americani sarebbero scesi ai livelli della Gran Bretagna; questo
avrebbe fermato la perdita di oro nel sistema bancario inglese
ed evitato negli UK l’imbarazzo politico di dover alzare
i tassi di interesse. La “Fed” ci riuscì; fermò la
perdita di oro da parte del sistema inglese ma, come conseguenza,
per poco non distrusse le economie mondiali. L’eccessivo
credito pompato dalla Fed si riversò sul mercato azionario
dando avvio a un incredibile boom speculativo. Con un certo ritardo,
i funzionari della Federal Reserve cercarono di arginare le riserve
in eccesso e riuscirono a frenare il boom. Ma era troppo tardi;
nel 1929 gli squilibri dovuti alla speculazione erano diventati
così dirompenti che quel tentativo finì col causare
una profonda recessione. L’economia americana collassò.
La Gran Bretagna se la passò ancora peggio ma anzi che
accettare le conseguenze dei propri errori, nel 1931 abbandonò
completamente il gold standard, lacerando ciò che rimaneva
della fiducia dei depositanti e provocando una serie di fallimenti
bancari in tutto il mondo. Le economie mondiali piombarono nella
Grande Depressione degli anni 30.
Con una logica che ricorda quella della generazione
precedente, gli uomini di governo attribuiscono al gold standard
la causa del collasso del credito che portò alla Grande
Depressione. Se il gold standard non fosse esistito, essi sostengono,
l’abbandono da parte della Gran Bretagna dei pagamenti in
oro nel 1931 non avrebbe causato il fallimento delle banche in
tutto il mondo. L’ironia vuole che dal 1913 non esistesse
più il gold standard ma quello che si potrebbe chiamare
“un gold standard misto”; tuttavia ad essere colpevolizzato
fu solo l’oro.
L’opposizione al gold standard in ogni forma - da parte
di un numero crescente di sostenitori del Welfare State (lo Stato
sociale) –
fu sostenuta comunque da una concezione ancora più sottile: la
realizzazione che il gold standard sia incompatibile con deficit
di spesa cronici (il marchio di distinzione del Welfare State).
Spogliato dal suo gergo accademico, il Welfare State non è niente
altro che un meccanismo attraverso il quale i governi confiscano
il bene dei membri produttivi di una società per sostenere
un vasto numero di piani assistenziali. Una parte consistente
della confisca è effettuata dalla tassazione. Tuttavia,
come riconobbero subito gli uomini di governo del Welfare State,
il mantenimento del potere politico era condizionato fortemente
dal prelievo fiscale e dal rispetto di certi limiti di tassazione.
Di conseguenza per finanziare le spese del Welfare State si rese
necessario il ricorso a massicci deficit di spesa pubblica, ovvero,
si presentò
la necessità di prendere a prestito il denaro emettendo
obbligazioni governative.
Sotto il gold standard, l’ammontare
di credito che una economia può sostenere è determinata
dai beni tangibili della stessa economia, dato che ogni strumento
di credito è, in fin dei conti, un diritto su qualche
bene tangibile.
Ma le obbligazioni governative non
sono finanziate da ricchezza tangibile, rappresentano solo
la promessa del governo di sborsare nel futuro parte del reddito
ottenuto tramite il prelievo fiscale.
L’emissione di una grande quantità
di nuove obbligazioni governative, di difficile assorbimento
da parte del mercato, può essere venduta al pubblico
solo a tassi di interesse progressivamente crescenti. Per questa
ragione il debito pubblico sotto il gold standard è severamente
limitato.
L’abbandono del gold standard
ha reso possibile agli uomini di governo del Welfare l’utilizzo
del sistema bancario come mezzo per espandere il credito in
maniera illimitata. Hanno creato riserve cartacee
in forma di obbligazioni di Stato le quali, attraverso una
serie complessa di procedimenti, sono accettate dalle banche
al posto degli asset tangibili e trattate come se fossero veri
depositi, ovvero come l’equivalente di ciò che
in precedenza era il deposito aureo.
Il possessore di un titolo di stato o di
un deposito bancario creato dalle riserve cartacee crede di avere
un valido diritto su un bene reale. Ma la verità dei
fatti è che adesso ci sono più diritti che beni
reali. La legge della domanda e dell’offerta non
può essere ingannata. Man mano che la riserva di moneta
(di diritti) cresce, relativamente alla riserva di beni tangibili
dell’economia, i prezzi devono necessariamente aumentare.
In tal modo i risparmi dei membri della società perdono
valore in termini di beni reali. Quando i conti economici tornano
nuovamente in equilibrio, questa perdita di valore rappresenta
il valore dei beni acquistati dal governo, per il Welfare o per
altri fini, e pagati con la moneta creata tramite l’emissione
di obbligazioni e finanziata dall’espansione del credito
bancario.
In assenza del gold standard è impossibile
proteggere i risparmi dalla confisca realizzata attraverso
l’inflazione. Non esiste riserva di valore sicura. Se
ci fosse, il governo dovrebbe dichiarare quel possesso illegale,
come è stato fatto nel caso dell’oro (nel 1933
negli USA, ndt). Se ognuno decidesse, per esempio, di convertire
i propri depositi bancari in oro o in rame o in qualsiasi altro
bene reale e si rifiutasse di accettare gli assegni come mezzo
di pagamento, i depositi bancari perderebbero il loro potere
d’acquisto e i crediti creati dai governi non avrebbero
più
nessun valore come diritto sui beni reali. La politica
finanziaria del Welfare vuole che i possessori di ricchezza non
abbiano nessun modo di proteggersi dalla confisca.
Questo è il meschino
segreto delle campagne degli uomini di governo del Welfare
contro l’oro. I deficit di spesa sono un semplice
sistema per confiscare ricchezza. L’oro ostacola questo
insidioso processo. Si pone a protezione dei diritti di proprietà.
Se si capisce questo, non si ha difficoltà a capire
l’avversione degli uomini di governo verso il gold standard |