[Questo articolo è stato pubblicato nella decima edizione del periodico Nida’ul Islam, novembre-dicembre 1995]
Per milioni di musulmani le banche sono istituzioni da evitare. L’Islam è una religione che tiene i credenti lontani dallo sportello del cassiere. Il credo islamico li allontana da affari che implicano usura o interessi (Riba). Tuttavia i musulmani hanno bisogno dei servizi bancari come chiunque altro e per diversi scopi: per finanziare nuove imprese commerciali, per comprare una casa, per comprare una macchina, per facilitare gli investimenti di capitali, per intraprendere attività di scambio e per mettere al sicuro i propri risparmi. Quindi i musulmani non sono contrari al legittimo profitto poiché l’Islam incoraggia le persone ad utilizzare il denaro in imprese legali in base ai principi islamici, e non certo a lasciare i loro fondi inattivi.
Tuttavia in questo mondo che si muove velocemente, più di 1400 anni dopo il Profeta (saw), possono i musulmani trovare lo spazio per i principi della loro religione? La risposta scaturisce dal fatto che una rete globale di banche islamiche, centri di investimento e altre istituzioni finanziarie ha cominciato a prendere forma in base ai principi della finanza islamica fissati nel Corano e nelle tradizioni del Profeta quattordici secoli fa. Il sistema bancario islamico, basato sul divieto coranico di addebitare gli interessi, è nato da un concetto teoretico evolvendosi fino ad abbracciare più di 100 banche operanti in 40 paesi con depositi multimilionari in tutto il mondo. Il sistema bancario islamico è ampiamente considerato come il fattore in più rapida espansione nel mercato dei servizi finanziari medio orientali. Esploso nel panorama finanziario appena 30 anni fa, in accordo con la Shari'ah gestisce ora fondi finanziari per un valore approssimativo pari a 70 bilioni di dollari americani. Le ricchezze detenute dalle banche islamiche sottoforma di deposito nel 1985 ammontavano a circa 5 bilioni di dollari americani ma sono aumentate fino a 60 bilioni di dollari nel 1994.
La caratteristica più nota del sistema bancario islamico è il divieto di addebitare interessi. Il Corano vieta l’attribuzione di interessi (Riba) sul denaro prestato. È importante comprendere alcuni principi dell’Islam sui cui si fonda la finanza islamica. La Shari'ah si basa sui principi coranici così come sono stati fissati nel Sacro Corano e sulle parole e le gesta del profeta Muhammad (saw). La Shari'ah proibisce gli interessi (Riba) e gli economisti islamici sono ora concordi sul fatto che il termine Riba non si riferisce solo all’usura ma anche ai tassi di interesse. Il Corano è chiaro riguardo al divieto di Riba, che viene a volte definita come interesse eccessivo. “Oh Voi dov’è la vostra fede! Abbiate timore di Allah e se siete davvero credenti, riponete le vostre rivendicazioni da usurai”. Gli studiosi musulmani hanno accettato il termine Riba per riferirsi a qualsiasi corresponsione di interessi, fissa o garantita, sui prestiti di denaro contante o sui depositi. Numerosi passaggi coranici ammoniscono espressamente il fedele a guardarsi dagli interessi.
Le regole della finanza islamica sono piuttosto semplici e possono riassumersi nel seguente modo:
L’Islam permette solo un tipo di prestito chiamato qard-el-hassan (letteralmente, buon prestito) dove il prestatore non addebita alcun interesse o importo addizionale alla cifra prestata. Gli antichi giuristi musulmani hanno fissato questo principio in modo così ferreo che, secondo un commentare “questo divieto si applica a qualsiasi vantaggio o beneficio che il prestatore potrebbe ricavare dal qard (prestito) così come cavalcare il mulo del debitore, mangiare alla sua tavola, o anche approfittarsi dell’ombra del suo muro di cinta”. Il principio sotteso a questa citazione enfatizza che benefici associati o derivati (N.d.A. dal prestito) sono proibiti.
L’Islam incoraggia i musulmani a investire il loro denaro e a diventare soci tra loro dividendo i rischi e i profitti dell’attività commerciale piuttosto che diventare creditori. Come stabilito nella Shari'ah, ovvero la legge islamica, la finanza islamica si fonda sulla credenza che colui che fornisce il capitale e colui che lo utilizza dovrebbero spartire in ugual misura i rischi delle imprese commerciali, sia che si tratti di fabbriche, aziende agricole, compagnie di servizi o semplici attività commerciali. Tradotto in termini bancari, il depositante, la banca e il debitore dovrebbero tutti dividere i rischi e i guadagni derivanti dal finanziamento di imprese commerciali. Questo è differente dal sistema bancario commerciale basato sugli interessi, dove tutta la pressione è sul debitore: il debitore deve restituire il suo prestito, insieme all’interesse concordato, indipendentemente dal successo o dal fallimento della sua impresa commerciale. Ciò che emerge da quanto detto è che l’Islam incoraggia gli investimenti affinché la comunità possa trarne beneficio. Tuttavia, (l’Islam, N.d.A.) non desidera lasciare scappatoie per chi non vuole investire e correre rischi, ma preferisce piuttosto ammassare denaro o depositarlo in una banca in cambio di un aumento di questi fondi senza alcun rischio (tranne quello che la banca possa diventare insolvente). Di conseguenza, in base all’Islam, le persone devono investire correndo dei rischi oppure devono subire le perdite economiche determinate dalla svalutazione del denaro per l’inflazione derivante dal mantenere i loro fondi inattivi. L’Islam incoraggia il principio “maggiori rischi, maggiori guadagni” e lo promuove sbarrando tutte le altre strade disponili agli investitori. Lo scopo è fornire uno stimolo all’economia e spingere gli imprenditori a massimizzare i loro sforzi tramite investimenti ad alto rischio.
Il denaro è solo un mezzo di scambio, un modo per definire il valore di una cosa; non ha alcun valore intrinseco e quindi non dovrebbe poter generare altro denaro, tramite il pagamento di interessi fissi, semplicemente venendo depositato in una banca o prestato a qualcun altro. Lo sforzo umano, lo spirito di iniziativa e il rischio insito in un’attività produttiva sono più importanti del denaro usato per finanziarli. I giuristi musulmani considerano il denaro come capitale potenziale piuttosto che come capitale in senso stretto, nel senso che il denaro diventa capitale solo quando viene investito in un’attività commerciale. Di conseguenza, il denaro anticipato per un’attività commerciale sottoforma di prestito è considerato come un debito dell’impresa commerciale e non come un capitale e, in quanto tale, non dà diritto ad alcun profitto (i.e. interesse). I musulmani sono incoraggiati ad acquistare e sono scoraggiati dal mantenere il denaro inattivo, ragion per cui, ad esempio, ammassare denaro viene visto come inaccettabile. Nell’Islam il denaro rappresenta il potere d’acquisto che viene considerato come l’unico uso legittimo del denaro. Questo potere d’acquisto (denaro) non può venire usato per creare maggiore potere d’acquisto (denaro) senza passare attraverso la tappa intermedia dell’acquisto di beni e servizi.
Sotto questo divieto qualsiasi transazione effettuata dovrebbe essere esente da incertezza, rischio e speculazione. Le parti contraenti dovrebbero essere perfettamente a conoscenza dei contro valori che verranno scambiati come risultato delle loro transazioni. Inoltre, le parti contraenti non possono predeterminare un profitto garantito. Questo si basa sul principio dei “guadagni incerti” che, interpretati in senso stretto, non permettono nemmeno un’iniziativa da parte del cliente per ripagare la cifra presa in prestito più un ammontare supplementare dovuto all’inflazione. La ratio dietro al divieto è il desiderio di proteggere il debole dallo sfruttamento. Quindi, le azioni e i futures (N.d.A. promesse di acquisto/vendita future) sono considerate non-islamiche così come le transazioni finanziarie in valuta estera perché i tassi di scambio sono determinati dai differenziali dei tassi di interesse. Molti studiosi islamici disapprovano l’indicizzazione del livello di indebitamento tramite l’inflazione e giustificano questo divieto alla luce del qard-el-hassan (N.d.A. buon prestito). Secondo questi studiosi, il creditore offre il prestito per ottenere la benedizione di Allah e si aspetta di ottenere una ricompensa solo da Allah. Molte transazioni vengono considerate come eccezioni al principio del gharar: vendite con pagamento anticipato (bai' bithaman ajil); contratto di produzione (Istisna); e contratto di assunzione (Ijara). In ogni caso esistono requisiti legali per far sì che questi contratti vengano stipulati e conclusi in modo da minimizzare qualsiasi rischio.
Il commercio di alcool, per esempio, non verrebbe finanziato da una banca islamica; un prestito immobiliare non potrebbe venir concesso per la costruzione di un casinò; e la banca non potrebbe prestare denaro ad altre banche dietro la corresponsione di interessi.