[articolo di Ugo Colombo originariamente su http://www.quadernivaltellinesi.it/Islam.htm]
Così mi è subito parsa l’ipotesi di scrivere un articolo sul sistema bancario islamico. "Le banche islamiche non fanno pagare interessi…", questa è stata la provocazione del Direttore di questo periodico, da cui è nato l’interesse per la materia oggetto di questo scritto. Devo confessare che la cosa mi è sembrata inconcepibile, inizialmente ho pensato che si potesse trattare di cooperative di credito o di enti no profit, che concedono credito senza scopo di lucro. In effetti, i libri di finanza, quando definiscono la "banca", si riferiscono ad un particolare tipo di "azienda" (di "credito", appunto), votata alla creazione di profitto e valore per i propri azionisti. In che modo un’affermazione come quella sopra riportata si potesse conciliare con i parametri di redditività (in sostanza, di "sopravvivenza economica") propri di un’azienda mi appariva come un tema interessante. Da questi presupposti ho intrapreso una piccola ricerca personale sul tema dell’islamic banking.
Pochi giorni più tardi, precisamente l’11 settembre, i tragici fatti accaduti a New York hanno frenato il mio intendimento: come ha insinuato un’inchiesta del Sole 24 Ore, anche io ho subito pensato che le banche islamiche "Probabilmente sono canali di finanziamento del fondamentalismo islamico… Non si può scrivere un articolo su realtà tanto aberranti!". Ma, poi, riflettendoci, mi sono detto che tutto quello che di grave era successo non doveva comunque far desistere dal tentativo di indagare la realtà senza preconcetti e paure.
Il sistema bancario nasce nei paesi musulmani verso la fine dell’800. In quel periodo le principali banche dei paesi occidentali cominciarono ad aprire filiali nelle capitali dei paesi colonizzati. La popolazione locale, tuttavia, rimase, almeno nel primo periodo, sostanzialmente estranea al mondo bancario, per una serie di motivi:
Proprio per ovviare a queste obiezioni, furono costituite banche locali che operavano, sostanzialmente, con gli stessi criteri gestionali delle banche occidentali. Tali istituti consentirono l’accesso ai servizi finanziari anche alle popolazioni rurali. La diffusione di banche locali attirò sin da subito l’attenzione degli intellettuali musulmani, dai quali scaturirono le prime riflessioni a proposito della fondazione di un sistema bancario "islamico", cioè aderente ai dettami del Corano.
In che modo si diffonda nel tempo tale sistema finanziario "alternativo" lo spiega in un’intervista concessa di recente al sole 24 ore il Prof. Gian Maria Piccinelli, docente di Diritto Musulmano nell’Università di Napoli. Mentre in occidente si è compiuto un processo che ha sottratto il Diritto Commerciale a quello Canonico, nel caso dei paesi islamici non si è mai potuto sviluppare un sistema di regole indipendenti dal "diritto comune" religioso: "La conseguenza è stata la formazione di una dottrina musulmana di taglio sia economico, sia giuridico che nell’ultimo mezzo secolo ha rincorso il disegno di un’economia islamica che, in prevalenza su basi ideologiche, costituisse una valida alternativa ai progetti sociali fondati sul liberismo capitalista e sullo statalismo socialista. Da questo approccio teorico, unito al surplus derivante dal mercato petrolifero, è nata l’esperienza delle banche islamiche".
Le "motivazioni religiose" in precedenza accennate alla base della diffusione delle banche islamiche traggono origine da alcune massime contenute nel Corano. Vale la pena di riportarle:
275. Coloro invece che si nutrono di usura resusciteranno come chi sia stato toccato da Satana. E questo perché dicono: "Il commercio è come la usura!". Ma Allah ha permesso il commercio e ha proibito l' usura. Chi desiste dopo che gli è giunto il monito del suo Signore, tenga per sé quello che ha e il suo caso dipende da Allah. Quanto a chi persiste, ecco i compagni del Fuoco. Vi rimarranno in perpetuo.
276. Allah vanifica l'usura e fa decuplicare l'elemosina. Allah non ama nessun ingrato peccatore.
278. O voi che credete, temete Allah e rinunciate ai profitti dell' usura se siete credenti. [Corano, Al – Baqara]
Il divieto esplicitato nel Libro Sacro si riferisce ad un concetto - quello di Riba – molto più ampio rispetto a quello di "usura": mentre quest’ultima consiste nel far gravare sul prestito un tasso d’interesse "spropositato", riba si riferisce, più in generale, al contratto di prestito basato sull’applicazione di interessi.
Ciò significa che per la legge coranica l’incasso di interessi relativi ad un contratto di prestito è da considerare sempre "illegittimo".
Gli studiosi hanno interpretato il concetto di Riba come "Qualsiasi pagamento di interesse fisso o garantito su prestiti o depositi".
In verità, la condanna del prestito a interesse non è prerogativa della sola religione islamica: la stessa Chiesa Cattolica, a partire dall’XI secolo mise un severo veto, sia sull’usura che sul prestito ad interesse, in quanto ad essi si accompagnava l’approfittarsi di situazioni di fortissima disparità e debolezza.
Di fatto, quindi, anche nella cultura cristiana occidentale è accaduto che sul prestito a interesse in quanto tale si mantenesse una condanna che è resistita nei tempi sino alle soglie dell’età contemporanea. Dobbiamo sottolineare, però, che nella cultura occidentale, a partire dall’età contemporanea in poi, l’originaria condanna non abbia più trovato riscontri nella realtà: "Essa restò e resta riferita ad un fenomeno che aveva ormai solo una lontana parentela con il credito modernamente praticato".
Con l’espansione delle attività commerciali moderne, si diffuse rapidamente il "prestito d’investimento", non quello "di consumo", oggetto della condanna di usura anche nella mentalità comune.
Il prestito d’investimento fu gestito da operatori (banchieri), tra i quali quelli che praticavano l’usura rappresentavano una componente residuale. In sostanza, nelle economie occidentali l’attività di credito si sviluppò con l’avanzare della moderna economia, e con questo binomio cadde la rigida condanna del prestito ad interesse.
Nelle realtà economiche musulmane, al contrario, il divieto delle operazioni fruttifere di interesse è rimasto inalterato da circa quattordici secoli.
Purtuttavia, si sottolinea come l’interpretazione del sistema semplicemente come "interest free" può creare confusione. In realtà, l’originalità del sistema tocca aspetti molto più generali: "Mentre il sistema finanziario convenzionale si focalizza principalmente sugli aspetti economici e finanziari delle operazioni bancarie, il sistema islamico pone uguale enfasi sugli aspetti morali, etici, sociali e religiosi".
In effetti, a partire dal fondamentale divieto, apparentemente antistorico, di applicazione degli interessi, si è imposto un sistema bancario e finanziario basato sui seguenti principi:
In termini generali ed assoluti, come detto, qualsiasi tipo di pagamento a fronte della concessione di un prestito è proibito.
Secondo la dottrina economica islamica, il creditore deve dividere con il debitore i rischi ed i risultati economici derivanti dall’investimento. Questo principio è, probabilmente, il più importante, se si vuole comprendere in profondità la logica del sistema bancario islamico. La legge islamica considera inaccetabile il fatto di "Guadagnare moneta dalla moneta" (questo è, di fatto, il risultato ultimo dell’applicazione di un tasso di interesse su di una somma depositata o prestata). La moneta è vista come un semplice mezzo di scambio, come un "capitale potenziale", che diviene reale soltanto nel momento in cui è investita in un processo produttivo. Partendo da questi presupposti i risparmiatori vengono incoraggiati ad "investire" i loro soldi, diventando "soci" in un progetto industriale nel quale dividere profitti e rischi del business, piuttosto che a diventare "semplici creditori". La finanza islamica è basata sulla convinzione profonda che il fornitore e l’utilizzatore di capitale debbano dividere equamente i rischi del business. Questo significa che, in campo bancario, il depositante, la banca ed il prenditore di fondi dovrebbero dividere i profitti ed i rischi associati al progetto d’investimento presentato dal debitore. Dal punto di vista gestionale, questo principio implica una forte attenzione della banca sulla profittabilità prospettica e sul controllo dell’andamento operativo e finanziario dell’investimento, più che sulle garanzie reali che il prenditore di fondi può esibire.
Aziende che operano in settori produttivi condannati dai dettami religiosi (costruzioni di casinò, commercio di alcolici, produzione di carne di maiale, società israeliane…) non possono essere finanziate in alcun modo dalle banche islamiche. Addirittura, esiste un listino di borsa approvato dal comitato dei saggi, in cui sono elencati i titoli acquistabili dal risparmiatore musulmano ( www.islamiqstocks.com ).
Le banche islamiche rappresentano una fetta crescente del complessivo sistema bancario dei paesi islamici. Alla fine del 1996, erano operative 166 istituzioni bancarie, con fondi gestiti pari a 137 miliardi di dollari, che crescono ad un tasso annuo medio del 10%. In molti paesi musulmani esse hanno conquistato una piccola frazione del sistema finanziario, ad eccezione di Iran, Pakistan e Sudan, paesi che hanno trasformato per legge il sistema bancario sulla base dei principi dell’islamic banking. In quasi tutte le altre nazioni, invece, le banche islamiche coesistono con le altre banche commerciali.
L’islamic banking è praticato attraverso due modelli:
Lungi dall’essere istituti no profit, le banche islamiche sono "Istituzioni finanziarie per le quali la legge stabilisce espressamente l’obbligo di operare secondo i precetti del diritto musulmano di matrice religiosa e il cui elemento peculiare è l’essenza degli interessi nel dare e nell’avere". A fronte degli obblighi richiamati, queste aziende di credito hanno sviluppato strumenti finanziari alternativi a quelli fruttiferi di interessi, riuscendo a realizzare risultati economici positivi.
Sulla base dei presupposti definiti nei paragrafi precedenti, gli istituti musulmani, al pari delle banche occidentali, forniscono servizi di raccolta, di impiego e servizi collaterali.
L’attività di raccolta fondi. Dal lato della raccolta, le istituzioni islamiche operano per mezzo di tre tipologie di depositi: conti correnti, depositi a risparmio e conti d’investimento. I conti correnti non forniscono alcuna remunerazione finanziaria. In sostanza, sono concepiti come strumenti che forniscono servizi di deposito del denaro, di prelievo / trasferimento fondi (per mezzo di assegni, carte di debito, bonifici) e di addebito automatico delle spese sostenute dal cliente. Al conto corrente non può essere abbinata alcuna carta di credito, poiché tale forma tecnica contempla, sempre e comunque, servizi "interest free". La remunerazione dei depositi a risparmio è a discrezione del management e dipende dall’andamento economico della banca. Tale remunerazione è considerata conforme al diritto musulmano, in quanto non è una condizione essenziale del contratto di deposito. La categoria di deposti che maggiormente contraddistingue le banche islamiche è costituita dai conti d’investimento, che si configurano come time deposit, pertanto non è possibile prelevare le somme depositate prima della scadenza del contratto. Questo prodotto bancario prevede che la banca selezioni professionalmente progetti meritevoli di finanziamento ed investa le somme depositate per conto dei clienti. A fine anno, o periodicamente, retrocede una parte degli utili (o delle perdite) del progetto sulla base di un profit – sharing ratio stabilito, sostanzialmente comparabile alla redditività dei depositi a termine delle banche "convenzionali".
Attività di impiego fondi. Come anticipato, gli impieghi delle banche islamiche sono basati sulla logica della profit sharing finance. L’attività di impiego può essere ricondotta a tre schemi concettuali: profit – sharing financing, trade financing, lending.
Sin qui sono state delineate le principali caratteristiche che contraddistinguono le banche islamiche. Vale la pena soffermarsi sinteticamente sui punti di forza e di debolezza di questo modo originale di "far banca". Naturalmente, in questa sede non si ha la pretesa di esaurire il giudizio critico sulla finanza islamica; l’intento è, più semplicemente, di esporre alcune riflessioni che scaturiscono da una sommaria analisi delle peculiarità gestionali delle islamic banks.
Dal punto di vista macroeconomico, alcuni studiosi della materia sottolineano come l’eliminazione dell’interesse consenta una maggiore stabilità economica.
Tali autori sostengono che un sistema bancario interest – based abbia insita la tendenza all’inflazione, poiché la creazione di moneta non è strettamente legata agli investimenti produttivi, quanto, piuttosto, all’attività delle banche centrali e commerciali.
In sostanza, il sistema bancario islamico spingerebbe ad un "uso produttivo" della moneta (considerando leciti gli investimenti in attività reali e bandendo il concetto di remunerazione finanziaria a fronte del semplice deposito / prestito di denaro).
Dal punto di vista della gestione dell’azienda di credito, si evidenzia come i meccanismi della profit sharing finance potenzialmente inducono la banca ad una più attenta selezione dei progetti da finanziare e un costante monitoraggio delle strategie e della conduzione operativa. La banca, cioè, deve "entrare nel merito" dell’idea imprenditoriale e seguirne lo sviluppo (nel caso della full equity financing, il banchiere, addirittura, siede nel CdA della società prenditrice di fondi).
Dal punto di vista della comunità islamica, il sistema, come abbondantemente sottolineato, ha il pregio di "Promuovere affari corretti secondo i principi islamici".
Più pesanti appaiono, ad un primo approccio, le critiche. Particolarmente complicata appare la regolamentazione internazionale di questi istituti di credito: occorrerebbero leggi ad hoc all’interno di ciascun sistema nazionale di supervisione: proprio questo problema ha limitato lo sviluppo della finanza islamica in molti paesi. Inoltre, il fatto di rifiutare operazioni finanziarie basate sull’interesse, esclude le banche islamiche dall’operatività sul mercato dei depositi interbancari, limitando lo sviluppo aziendale.
Infine, critica più importante, si ha l’impressione che i principi su cui si regge la banca islamica siano costruiti per "raggirare" i divieti coranici: in effetti, a ben vedere, la distinzione fra i concetti di "commissione" e "interesse" non è sempre chiara. Si pensi, per esempio, al contratto denominato mark – up: la percentuale applicata sul costo del bene – che esprime la remunerazione per il servizio fornito dalla banca - è nella, sostanza, assimilabile ad un tasso di interesse. Leggendo alcuni autori, sembra che la contrapposizione islamic banking – conventional banking sia retta puramente su una questione terminologica.
In effetti, tolto il caso del credito usuraio, un moderno sistema di prestiti ad interesse non sembra essere "moralmente deprecabile" in quanto tale. Il prestito di denaro, da qualunque parte si osservi il fenomeno, resta, nella sua essenza, un "servizio" – a contenuto strettamente finanziario – erogato al cliente.
Appare dunque ideologico il fatto di incriminare un particolare tipo di pricing del servizio, rappresentato, appunto, dal saggio di interesse: sia che si parli di tasso, piuttosto che di una commissione, si tratta pur sempre del costo per il servizio reso dalla banca – come ricordato all’inizio, si tratta di un servizio ad elevata "utilità sociale", in quanto consente di trasferire i surplus finanziari ai soggetti in deficit finanziario.
Anche nella realtà italiana, come accennato, nei secoli passati il prestito ad interesse era considerato moralmente inaccettabile. Con lo sviluppo dell’economia, tuttavia, il credito modernamente inteso – quindi, lontano dal concetto di "usura" – è stato ampiamente accolto dagli operatori economici, e sono nate istituzioni – le banche appunto - che, attraverso la competenza e professionalità dei propri addetti, garantirono la trasformazione dell’attività di credito in un servizio sempre più moderno ed efficiente, consentendo, tra l’altro, di debellare il fenomeno dell’usura.